Il termine formaggio grana permette di indicare genericamente una specialità che, pur identificabile con nomi differenti, è riconoscibile come prodotto di «struttura granulosa, facile da spaccare e da grattugiare, possiede tanti piccoli occhietti, o vacui, regolarmente sparsi. Il suo odore è gradevole ed aromatico; il colore è giallo-chiaro; il sapore è intenso, aromatico, piccante, ma non esagerato. La crosta è piuttosto dura» (dalla Guida del 1931). Parmigiano Reggiano, Grana Padano, ma anche Piacentino o Lodigiano: la variabilità del nome non è un dettaglio e già nel 1931 si rileva una geografia diffusa. Sarà l’edizione del 1984 a stabilire il mutamento portato dalla fondazione del Consorzio di tutela che arriva a distinguere il Grana Padano (prodotto in una vastissima area, estesa da Asti a Ravenna) dal Parmigiano Reggiano (solo per i formaggi stagionati provenienti dalle province di Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna, riva sinistra del Reno, e Mantova, riva destra del Po).
La descrizione del prodotto segue nel tempo un certo protocollo: se ne richiamano le origini antiche e la citazione da una novella del Boccaccio; si enfatizza il dato numerico di una produzione che lo fa riconoscere come prodotto diffusissimo e per l’esportazione; si richiamano le eterne discussioni fra province (Reggio, Parma e Piacenza in particolare) che se ne contendono la primogenitura e/o l’eccellenza. Non ultimo il dato gastronomico: questo formaggio sta alla base stessa della cucina regionale e fa parte del protocollo descrittivo enumerare la lunga lista di primi e secondi piatti che hanno per ingrediente il parmigiano o che sono detti “alla parmigiana”.
Nell’edizione del 1984 emergono le prime difficoltà di quel fenomeno che oggi definiremmo di Italian sounding e che si accompagnano alla raffinatissima costruzione di un apparato di sensibilità da degustazione che caratterizza il presente. Se il parmesan o il reggianito contendono il mercato globale ai prodotti originali, solo alle zone di produzione spettano competenze gourmand. In quest’ottica diventa sempre più importante distinguere; indicare, ad esempio, che hanno diritto al marchio solo le forme prodotte durante l'estate (il prodotto invernale prende il nome di vernengo, riconoscibile grazie a una lievissima variazione di sapore avvertibile solo ad assaggio comparato).
Interessante notare che uno dei prodotti-bandiera del territorio è raramente descritto in maniera dettagliata. Spesso è giudicato sufficiente indicare la sua presenza: diviene così scontata e implicita l’appartenenza al territorio e alle sue tradizioni.